Skip to main content

Pubblichiamo un articolo del nuovo numero dell’antifascista, del 2021 – Marzo – Aprile  2021

 

Il 6 aprile 1941, ottanta anni fa, la Jugoslavia, giovane stato nato a Versailles dallo smembramento dell’Impero Austroungarico, è invasa dalle forze armate dell’Asse, specificatamente da Germania, Italia, oltre che dai suoi alleati minori.

Circa un terzo dei suoi territori passa sotto diretta amministrazione italiana (la costa dalmata che da Fiume e Lubiana giunge sino al Montenegro), alcune parti vengono annesse al territorio italiano (Spalato, Cattaro e la Slovenia meridionale che diventa provincia), il resto è sottoposto alla amministrazione dell’esercito italiano.
Ne scaturisce, da parte delle popolazioni locali, una sempre più accanita opposizione che assume i connotati tipici della lotta partigiana e che vede emergere la leadership del partito comunista jugoslavo di Tito che si dimostra in grado di mettere sempre più in difficoltà le forze di occupazione straniera, le quali adottano una durissima repressione che non risparmia le popolazioni locali, ritenute anch’esse responsabili.

Le tattiche di antiguerriglia partigiana si ispirano alla Circolare C redatta dal generale Mario Roatta ad inizio 1942 e si innervano sulla distruzione di interi villaggi, sulla cattura indiscriminata di ostaggi, sulle fucilazioni sommarie, sulle rappresaglie indiscriminate, in linea, in verità, con quanto già praticato in Libia contro il movimento resistenziale di Omar Muktar.

Si tratta dunque d’una strategia nota: fare terra bruciata attorno ai partigiani colpendo, terrorizzando la popolazione. Un sistema repressivo che risulta integrato dall’allestimento di campi di concentramento in cui si calcola siano condotti circa 100 mila jugoslavi, comprese donne, vecchi, bambini, mentre per i partigiani è praticata la fucilazione sul posto. Tra i più famigerati luoghi di internamento istituiti dagli italiani c’è l’isola di Arbe o Rab in cui sono recluse 30 mila persone di cui almeno 1500 decedono per fame, epidemie, inedia.

Nonostante i metodi brutali perpetrati dagli occupanti, la resistenza si rafforza, cresce, si espande e ciò trova giustificazione dall’ostilità largamente diffusa sin dagli anni venti per le politiche persecutorie di matrice fascista contro quegli slavi che i trattati di pace avevano annesso al Regno d’Italia (questo spiega la presenza di sloveni, croati nei luoghi di confino tristemente noti come Ponza, Ventotene, Tremiti).

Efferate violenze, dunque, che si innestano su animi esacerbati da quasi un ventennio di soprusi. Si giunge così in un clima di violenza e tensione indicibile all’8 settembre 1943 quando, il vuoto di potere generato dalla fuga dei Savoia e dalla insipienza Stato Maggiore italiano, fa sì che l’entusiasmo slavo per l’annuncio dell’armistizio italiano si ammanta di rabbia, di desiderio di vendetta.

Supportate dalle formazioni partigiane centinaia di italiani vengono arrestati con l’accusa di collaborazionismo, ma quasi contestualmente le forze tedesche scatenano in ottobre un feroce rastrellamento che si conclude con l’occupazione dell’Istria.

Per le centinaia di migliaia di soldati italiani presenti in Jugoslavia ma in generale in tutti i Balcani è l’inizio di una nuova fase connotata da un lato dal loro rifiuto di proseguire la guerra con la Germania e che comporterà l’invio ai campi di internamento con la qualifica di IMI, dall’altro dall’adesione di migliaia di loro alla resistenza jugoslava: il 2 dicembre 1943 in Montenegro si costituisce la Divisione Garibaldi, mentre nel resto del paese la Divisione Italia fa altrettanto concorrendo l’anno dopo alla liberazione di Belgrado, ma occorre in aggiunta ricordare che non pochi sono gli italiani aggregati alle formazioni jugoslave, non ultime le Brigate d’oltremare addestrate in Puglia e inviate nei Balcani a partire dal 1944.

Dall’ottobre 1943 all’aprile 1945 la Jugoslavia e la Venezia Giulia ed il Friuli sono inclusi nella Zona di operazione del Litorale Adriatico sotto la diretta amministrazione dei tedeschi che si avvale di formazioni italiane come la X Mas di J. V. Borghese. Contributo che non manca di connotarsi per la brutalità concorrendo a efferate rappresaglie, una tra tutte quella del 30 aprile 1944 contro il villaggio di Lipa in cui sono bruciate vive 269 persone. La tortura, poi, diviene una pratica posta in essere non solo dalla Gestapo, ma anche da gruppi italiani come la banda Collotti a Trieste.

Violenze documentate, proprio in questi giorni, dalla mostra fotografica “A ferro e fuoco” realizzata da Raoul Pupo e dal Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Trieste, disponibile in rete.

L’invasione e l’occupazione della Jugoslavia è costato alla popolazione slava oltre un milione di morti, senza considerare gli ingentissimi danni morali e materiali, eppure questa tragica pagina della nostra storia nazionale per lunghi decenni è rimasta avvolta nel silenzio. “Alla fine della guerra fu praticato un patto del silenzio” spiega lo studioso Marcello Flores “che permane ancora oggi anche perché molti dei protagonisti erano stati inseriti nell’estabilishment democratico”, inoltre le esigenze della guerra fredda che si andavano già definendo all’orizzonte ha svolto, in tal senso, una funzione essenziale e, in questa ottica, la fuga del generale Roatta del 1945 favorita dalla intelligence italiana e britannica ne è un esempio paradigmatico.

Inoltre, osserva Barbara Berruti, ricercatrice dell’Istituto Agosti di Torino, il Paese preferì espungere dalla propria memoria collettiva e quindi dalla propria coscienza un evento bellico scomodo da rammentare in quanto combattuto dalla parte sbagliata e perso.

Le vicende del fronte orientale sono state lungamente sottoposte al silenzio per tutte queste ragioni, ma solo all’indomani della istituzione del Giorno del Ricordo, al fine di impedire una ricostruzione largamente parziale oltre che distorta, la comunità scientifica degli storici e degli studiosi ha reputato improcrastinabile restituire alla memoria collettiva una delle pagine più vergognose della storia nazionale. Pagina che ha un inizio ed un responsabile: la politica persecutoria ed imperialista del Regime fascista.

Giacomo Massimiliano Desiante

X