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Delitto Matteotti

Giacomo Matteotti era il segretario del Partito Socialista Unitario, nato il 4 ottobre 1922 a seguito di una delle numerose scissioni del Partito Socialista Italiano in quegli anni. Fervente antifascista e abile oratore, Matteotti venne rapito il 10 giugno 1924 da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini e operativa, probabilmente, per esplicita volontà di Benito Mussolini. Matteotti era, infatti, considerato dal regime come un pericoloso oppositore, dato che aveva denunciato pubblicamente e in Parlamento, il 30 maggio 1924, durante la prima seduta della nuova legislatura, i brogli elettorali attuati dalla nascente dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924 e le tangenti che importanti esponenti di governo e/o vicini a Mussolini – tra cui parrebbe ci fosse anche il fratello Arnaldo – avevano preso dalla Sinclair Oil per le concessioni petrolifere. Matteotti contestava, insomma, citando fatti ed episodi circostanziali di violenza a danno di esponenti delle opposizioni, la validità delle stesse elezioni politiche, delle quali chiese l’annullamento.

Il rapimento e il successivo omicidio dell’esponente antifascista – il cui corpo venne trovato circa due mesi dopo – sanciscono storicamente, nelle numerose opposizioni antifasciste, l’abbandono dell’idea di una opposizione legalitaria al regime, fatta cioè sui banchi del Parlamento. Il cosiddetto “delitto Matteotti” portava, quindi, alla cosiddetta secessione dell’Aventino, ovvero il metaforico ritiro per protesta, sul colle romano, di tutti i deputati dell’opposizione, e a una profonda, seppur temporanea, crisi dello stesso regime fascista.

Il 3 gennaio 1925, di fronte alla Camera dei deputati, Benito Mussolini si assunse pubblicamente la «responsabilità politica, morale e storica» del clima nel quale l’assassinio si era verificato. Inoltre, ben due memoriali avrebbero alla fine accusato Mussolini come mandante del delitto Matteotti:

  • il primo di Filippo Filippelli, coinvolto nel delitto per aver fornito ai sequestratori l’autovettura utilizzata per il rapimento. Questi accusava Amerigo Dumini, Cesare Rossi, Emilio De Bono e lo stesso Mussolini, citando inoltre l’esistenza di un organismo di polizia politica interno al Partito nazionale fascista, la cosiddetta “Ceka” (antesignana dell’Ovra), diretta dal Rossi, dal quale sarebbe stato organizzato materialmente l’assassinio di Matteotti.
  • Il secondo memoriale, di analogo contenuto, era invece di Cesare Rossi, su cui Mussolini stava tentando di rovesciare ogni responsabilità. In esso venivano raccontate quali fossero le attività del gruppo di squadristi a cui veniva affidata l’esecuzione di rappresaglie e di vendette politiche.
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