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Braccialarghe Giorgio

Braccialarghe Giorgio

Nato a Pallanza (VB) il 22 agosto 1911 dal garibaldino Comunardo, sindacalista e socialista rivoluzionario, trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra Milano, Roma e Macerata.

Nell’aprile del 1934 emigra a Buenos Aires, raggiungendo così il padre, residente da molti anni nella capitale argentina, e trova lavoro come critico teatrale. Alla notizia della rivolta dei generali in Spagna, decide di passare all’azione: si imbarca nel novembre 1936 sul piroscafo francese Kerguelen diretto a Le Havre, da dove raggiunge la penisola iberica e si arruola nel Battaglione (poi Brigata) Garibaldi, guidato dal repubblicano Randolfo Pacciardi.

All’interno della formazione italiana, in seguito alla morte di Guido Picelli, assume il comando della prima compagnia (denominata “Arditi”), partecipando a numerose battaglie tra cui la celebre vittoria di Guadalajara ed ascendendo al grado di Capitano e Capo di Stato Maggiore della Brigata. Ad agosto del 1937 si dimette ed abbandona il fronte, in seguito a dissidi con la direzione politico-militare dell’esercito repubblicano, seguendo l’esempio del suo ex-comandante Pacciardi.

Tornato in Sudamerica, si dedica all’attività giornalistica sotto lo pseudonimo di Giorgio (Jorge) Testena fino al maggio 1939, quando decide di trasferirsi nuovamente in Francia. Nel Paese transalpino la sua sorte è analoga a quella di numerosissimi antifascisti italiani: fermato dalla pubblica sicurezza, subisce la condanna ad un anno di reclusione in quanto sprovvisto della carta di identità.

Scarcerato il 25 maggio 1940, mentre i tedeschi dilagano, viene immediatamente condotto al Roland Garros, stadio tennistico adibito a luogo di prigionia. Poco prima dell’ingresso delle avanguardie germaniche a Parigi, è trasferito nel terribile campo di concentramento di Vernet d’Ariège, che ospita migliaia di fuoriusciti di ogni nazionalità (numerosissimi gli italiani e gli spagnoli reduci dalla guerra) in condizioni deplorevoli. La permanenza nel lager pirenaico si protrae sino al 20 dicembre, allorché, in ottemperanza alle condizioni di armistizio, le autorità collaborazioniste di Vichy lo traducono a Menton, consegnandolo alla polizia fascista.

Il 10 gennaio 1941 rientra quindi in Italia, accompagnato in stato d’arresto a Macerata, ove viene interrogato e deferito all’apposita Commissione, che lo assegna al confino a Ventotene per cinque anni. Durante il soggiorno forzato nell’isola tirrenica, aderisce al celebre “Manifesto” omonimo sulla struttura del federalismo europeo, redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni.

Alla caduta di Mussolini, ormai libero, riprende immediatamente la lotta alla testa delle squadre d’azione repubblicane (Brigate Mazzini) che combattono nella Capitale contro le forze di occupazione tedesche. Successivamente, viene paracadutato dagli Alleati nella zona di Pistoia, quale coordinatore delle formazioni partigiane operanti nelle Alpi Apuane.

Terminato il conflitto, intraprende con successo la carriera diplomatica, rivestendo le cariche di Ambasciatore in Brasile e Console in Argentina, fino al collocamento a riposo per raggiunti limiti di età.

Riceve la Medaglia d’Argento al Valor Militare perché: «Dopo l’armistizio partecipava volontariamente, come agente informatore in collegamento del capo gruppo Roma, alla lotta contro i tedeschi. Senza aver eseguito il corso di paracadutista, veniva aviolanciato in territorio nazionale occupato dal nemico. Essendosi il paracadute male aperto, toccando terra riportava ferite. Ciò nonostante organizzava il servizio d’informazione, rimettendo al suo Capo importanti notizie di carattere militare. Partecipava poi con un gruppo di patrioti, a vai cruenti scontri coi nazi-fascisti, fino alla liberazione del territorio.» — Roma – Appennino Toscano, 8 settembre 1943 – 1 gennaio 1945

Scrive diversi libri, fra cui Nelle spire di Urlavento. Il confino di Ventotene negli anni dell’agonia del fascismo, pubblicato a Firenze nel 1970, e Diario spagnolo, uscito a Roma nel 1982. Muore a Roma l’8 luglio 1993.

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