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Il fascismo mise robuste radici in Sardegna solo all’indomani della marcia su Roma, sotto l’azione del Generale Asclepia Gandolfo nominato prefetto della provincia di Cagliari.

Costui, inviato da Mussolini alla fine del 1922, nel giro di pochi mesi riuscì a far confluire nel Partito Nazionale Fascista una parte consistente degli iscritti al Partito Sardo d’Azione. In realtà, egli più che un prefetto era un inviato speciale con poteri su tutta l’isola e con l’unico obiettivo di “fascistizzare la Sardegna”.

Come altrove, dunque, “il fascismo nell’isola si afferma per via prefettizia”. Questa tesi fu sostenuta anche da Emilio Lussu, secondo il quale “il fascismo venne importato dal continente e lo stesso si poté affermare grazie ai prefetti e agli apparati dello Stato”.

Per Francesco Fancello l’Italia meridionale e insulare fu conquistata, non dalle squadre mussoliniane, ma dai prefetti e il fascismo cominciò a manifestarsi nell’isola più tardi che altrove. Comunque sia sorto, in Sardegna il movimento del fascio iniziò a muovere i primi passi a Tempio, nel 1919, grazie a giovani appartenenti a facoltose famiglie, uniti dall’odio verso i socialisti che costituivano cooperative, che avevano aperto nella cittadina della Gallura la Camera del Lavoro e che organizzavano gli operai. Ad esso seguirono la fondazione dei fasci a Olbia, Calangianus e La Maddalena.

A Cagliari e provincia fu costituita, in data 18 settembre 1922, la Federazione provinciale del PNF che nominò come suo primo segretario l’avvocato Gavino Falchi. L’azione di proselitismo e di conquista politica si svolgeva principalmente con la violenza volta alla distruzione fisica delle strutture delle organizzazioni operaie, con la preziosa tolleranza da parte delle forze dell’ordine. Si voleva gettare nel panico i militanti e dimostrare alla popolazione non politicizzata che i fascisti erano i nuovi padroni ai quali non era possibile resistere. “In questo quadro si collocano gli assalti alle sedi dei partiti di sinistra e sardista, la distruzione delle Camere del Lavoro, gli scontri, spesso sanguinosi,  fra operai sardisti e social comunisti”.

Ma fu con l’arrivo del Generale Gandolfo, su citato, che il fascismo si radicò effettivamente in Sardegna. Egli, infatti, sfruttando il forte ascendente che aveva verso i tantissimi combattenti sardi, molti dei quali lo avevano avuto comandante durante la 1a Guerra Mondiale, che avevano aderito al Partito Sardo, riuscì a far confluire la maggior parte di loro nelle fila del PNF, perpetrando la così detta “fusione”, tra il febbraio e il mese di aprile del ‘23. Dopo la “fusione”, il fascismo vinse.

La violenza squadrista resterà ancora in piedi, e avrà modo di manifestarsi nelle elezioni del 1924. In queste consultazioni, il listone fascista non farà il pieno dei voti ma eleggerà soltanto otto parlamentari; i sardisti ne piazzeranno due, Emilio Lussu e Pietro Mastino, mentre uno a testa per i popolari e i comunisti, Palmerio Delitala e Mario Berlinguer. “Il fascismo ottiene nell’isola un risultato inferiore rispetto alla media nazionale a causa della tenuta sardista e del suo leader indiscusso Emilio Lussu, il cui nome sarà quello attorno al quale si raccoglieranno le paure e i controlli delle diverse polizie del regime”.

La lotta al regime vide impegnati anche i sardi.

Anche se molto esiguo, rimase per tutto il ventennio un filone di resistenza antifascista che si esprimeva attraverso personalità, come quella del comunista Giovanni Lay, dei sardisti Dino Giacobbe, e Francesco Fancello, del repubblicano Cesare Pintus. Tra i fuorusciti antifascisti si imponeva, per il prestigio che la figura del combattente continuava a esercitare nell’isola, Emilio Lussu.

L’antifascismo isolano era, al suo interno, suddiviso sostanzialmente in due gruppi o matrici: uno di stampo operaio, proveniente da alcune tradizionali zone rosse, l’altro di matrice borghese, composta da circoli ristretti di liberi professionisti abbastanza agiati.  Un antifascismo davvero organizzato in Sardegna ci fu solo agli inizi, ma con l’approvazione delle “leggi eccezionali” si registreranno fondamentalmente episodi di scontri isolati, di ribellione individuale, di lotta singola, o al massimo di piccoli gruppi appartenenti soprattutto al disciolto Partito Comunista, prevalentemente insistenti nei bacini minerari del Guspinese e dell’Iglesiente. Un antifascismo poco noto ma certamente attivo contro il regime fascista, e direi fastidioso, che però, essendo confinato a circoli ristrettissimi, non aveva il potere di condizionare il resto della popolazione.

Questi oscuri eroi antifascisti mantennero vivo il loro ideale e per questo motivo rischiarono di persona, anche a causa del metodo delle delazioni,  il carcere, il confino, le continue angherie dei fascisti locali, le incessanti perquisizioni domestiche, le costanti piccole e grandi vessazioni, le manganellate e l’olio di ricino.

Dal novembre 1926, anno in cui venne istituito il Confino di polizia, al 25 luglio 1943, data in cui cadde il fascismo e per ordine di Sua Maestà il Re, venne arrestato Mussolini, furono decretate ben 204 assegnazioni al Confino, che investirono antifascisti residenti in tutte e tre le province dell’isola. L’ente territoriale con il maggior numero di ordinanze di assegnazione fu quella di Cagliari con 124 provvedimenti, pari al 60,78% del totale. Seguiva la provincia di Nuoro (istituita dal Duce il primo gennaio 1927, perciò detta provincia del Littorio) con 41 disposizioni, corrispondente al 20,10%. Fanalino di coda, la provincia di Sassari con 39 assegnazioni, pari al 19,12%. Inoltre, occorre tener conto che 210 furono i sardi giudicati dal Tribunale Speciale. Ventitre furono amnistiati, 91 rinviati ad altro giudice, 38 imputati ebbero il non luogo a procedere, 12 vennero assolti; infine, 44 furono ritenuti colpevoli per un totale di 223 anni di carcere.

Uno, Michele Schirru, fu condannato nel 1931 a morte; un altro, Pietro Meloni, sempre nel 1931, venne condannato all’ergastolo. La maggior parte proveniva dalla provincia di Cagliari, ben 106; 50 da quella di Sassari; da quella di Nuoro 16 e dalla penisola i restanti 38. Dall’analisi delle schede dei confinati sardi risulta che gli oppositori al regime erano in prevalenza antifascisti, senza ulteriori specificazioni (94), seguiti dagli apolitici (37), dai comunisti (35), dagli anarchici (11), dai disfattisti (7), dai socialisti (3),  dai sardisti (2), e da alcuni senza qualifica politica (9). Per sei oppositori invece non è ripetuta la qualifica politica.

I capi di imputazione spaziavano dall’attività antifascista espletata in Italia o in Francia, a quella comunista; dall’attività sovversiva a quella anarchica. Dalle offese al capo dello Stato alle critiche al regime fascista; dall’essere autore di manifesti comunisti alle critiche alla guerra in Africa. Dalla diffusione della stampa comunista al disfattismo politico. Dalla denigrazione della milizia al vilipendio del regime. Dall’incitamento alla disobbedienza all’audizione di radio Londra. Dalla diffusione della stampa clandestina all’esser stato combattente antifranchista.

Il primo a incappare nelle maglie della repressione in provincia di Cagliari fu il socialista Angelo Corsi; era il 4 dicembre 1926 e gli vennero comminati 5 anni di confino.

Nell’ente territoriale di Sassari il primo fu il comunista Antonio Dore al quale, il 7 dicembre 1926, vennero assegnati 5 anni di confino.

Nella provincia di Nuoro toccò all’anarchico Luigi Puddu, al quale in data 12 dicembre 1927 vennero disposti 3 anni di confino. A tutti e tre la pena venne in seguito commutata in ammonizione.

Lorenzo Di Biase

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