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A più di 97 anni di età ci ha lasciati Fernanda Serafini, nobile figura della Resistenza  e della sinistra cuneese.

Classe 1923, dalla natia Valdastico (provincia di Vicenza, al confine con quella di Trento) era venuta nella nostra provincia, quando il padre, minatore, si era o era stato trasferito alle cave di Bernezzo. Aveva frequentato l’Istituto magistrale di Cuneo negli anni in cui professori come Ennio Carando e Adolfo Ruata sfidavano il conformismo del regime (Adolfo Ruata è l’uomo con la barba che affianca Duccio Galinberti nello storico discorso del 26 luglio ’43, Ennio Carando, trucidato dai fascisti a Villafranca Piemonte il 5 febbraio 1945 con il fratello Achille e Leo Lanfranco, è medaglia d’oro al valor militare, nelle sue lezioni di filosofia non avere timore a esaltare l’etica di Kant ed esporre il pensiero di Marx).

La scelta antifascista per Fernanda arrivò molto presto: entrò nella cellula comunista di Neno Peano e Giuseppe Biancani. Era la più la audace nell’affiggere i ciclostilati che fin dal 25 luglio il partito aveva cominciato a produrre. Dalla cellula alla Sap, la squadra d’azione cittadina, parte organica delle brigate Garibaldi, il passaggio fu naturale. Serafini divenne staffetta con i nomi di battaglia, uno biblico, l’altro classico, di Susanna o Nike e fu arrestata. Fu in carcere per più di due mesi e rischiò la deportazione in Germania. Rimessa in libertà, tornò al proprio posto di militante, facendo base a Torino. La sua qualità di studentessa (dopo il diploma si era iscritta a Magistero) giustificava i viaggi in treno.

Nell’aprile del ’45 fu proprio lei a portare dal CLN regionale a Cuneo l’ordine dell’insurrezione. Nel dopoguerra fu insegnante elementare, quindi dopo la laurea nella scuola media in valle Grana e a Cuneo. Fece parte degli organi dirigenti del Pci provinciale. Nel 1956 fu candidata al consiglio comunale di Cuneo, ottenendo 437 preferenze, terza dietro Giuseppe Biancani e Giuseppe Gastaldi. In quella tornata il Pci conquistò solo 2 seggi e Fernanda rimase la prima esclusa. Due anni dopo è nelle liste comuniste per le elezioni alla Camera, in quella che fu forse la campagna più dura nella storia del Pci cuneese, dissanguato dalla fuoriuscita di Antonio Giolitti e dai contraccolpi causati dall’invasione dell’Ungheria da parte dell’armata sovietica. Nella lista il partito aveva profuso tutte le sue energie migliori: oltre a Serafini c’erano il segretario della Cgil Pietro Panero, quello dei contadini Gino Borgna, il direttore didattico ed ex comandante partigiano della valle Maira Acchiardi, il direttore della “Voce”, il poeta Velso Mucci, il segretario di federazione Biancani. Questi fu eletto, anche grazie alla solidarietà dei compagni alessandrini. Fernanda era abituata alle candidature di bandiera ed era solita chiedere il voto non per sé, ma per la lista. Le preferenze erano quelle deliberate dal Comitato federale. Rimasta prematuramente vedova, riversò nel partito tutta la sua carica affettiva, anche se con il passare del tempo aveva imparato a nascondere le emozioni dietro una maschera di ironia e di burbera severità. Lo scioglimento del Pci fu per lei un colpo senza uguali. Era il venir meno di una comunità di vita, non solo di un partito. Le sigle che negli anni hanno sostituito il Pci hanno ricostituito un sistema di rappresentanza e si sono a poco a poco, come ha denunciato da ultimo Nicola Zingaretti, trasformate in una riserva di caccia alle “poltrone”, mentre i valori della solidarietà e della militanza sono andati irrimediabilmente perduti.

La forza degli ideali ha tuttavia impedito a Fernanda di chiudersi nel privato. Infaticabile, curiosa viaggiatrice, è stata tra i primi italiani a volare in Vietnam non appena, terminato il lungo conflitto con la superpotenza americana, questo è divenuto possibile. Andò a vedere non solo i monumenti o le bellezze naturali, ma soprattutto le devastazioni che i bombardamenti avevano causato e si fece promotrice di raccolte di fondi per ricostruire scuole e ospedali, contribuendo in prima persona.

Dedicò tutte le sue capacità organizzative per rilanciare la sezione cuneese dell’ANPPIA, l’associazione degli antifascisti imprigionati o confinati durante il ventennio. Fece parte del Consiglio nazionale dell’associazione. Però alle manifestazioni faceva parlare solo il presidente, l’avv. Dino Giacosa. Lei sedeva fra il pubblico. Così fu a Fossano il 15 ottobre del 1994, quando presentammo il libro “Le loro prigioni”, la storia dei mille detenuti politici passati attraverso le celle e i cameroni del Santa Caterina fra il 1926 e il 1945. A me era toccato esplorare i fondi dell’Archivio centrale dello Stato e preparare l’inquadramento storico, Fernanda, ottenuta una speciale autorizzazione, si era calata per alcuni mesi con una macchina da scrivere portatile nei sotterranei del carcere e qui aveva trascritto tutti i dati degli antifascisti lì detenuti, indispensabili per la redazione delle schede e l’orditura del volume.

Poi si diede da fare per trovare i fondi necessari per la pubblicazione e organizzò un grande raduno a cui parteciparono l’intero Consiglio nazionale dell’ANPPIA, delegazioni francesi, slovene e croate. Erano ancora in vita maquisards o comandanti partigiani della ex Jugoslavia che erano passati per quella prigione. Fernanda non volle che il suo nome comparisse sul frontespizio del libro, non salì sul palco durante il convegno. Altrettanto successe pochi mesi dopo, quando la ricerca ottenne il premio Acqui Storia –Targa D. Lajolo.

Per lei contava l’opera, il lavoro, non il successo individuale. Se ne è andata in silenzio, con funerali civili e riservati, avvolta nella bandiera del vecchio partito, sulle note di “Fischia il vento”. Ha voluto essere cremata e le sue ceneri saranno disperse nel terreno comune dell’ara crematoria di Bra, dove Fernanda potrà, secondo i versi di Lee Masters, “aggirarsi nel moto chimico della vita,/ nel suolo e nella carne dell’albero, /e negli epitaffi viventi” di una terra più feconda e non matrigna.

 

Livio Berardo

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